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4° EDIZIONE dal 13/6 al 30/09
SCUOLA MEDIA “P. MANTEGAZZA”
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Orto dei Frati
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"L'Orto di Fradi"come si presentava prima che fosse tagliato e sostituito da via Gerini e piazza Bacigalupi.

IL CONVENTO

Sorgeva alla sommità dell”Orto dei Frati” (si capisce quindi perché i Lericini lo hanno sempre chiamato così) dov' era il Teatro Goldoni( costruito sulle sue rovine) e dove ora c'è un grosso palazzo.....

 

 

Questa è la sua storia tratta da“Lerici” di Oreste Bardellini.

“La Comunità di Lerici fece supplica alla Re­pubblica di Genova per l'apertura in Lerici di un convento di Cappuccini, ed allegò alla domanda il nulla osta degli Agostiniani di Maralunga e della Curia vescovile. Nel 1608 si principiò l'ere­zione della chiesa e del contiguo convento in località denominata Padula su terreno donato dal patrizio Domenico Botti di Federico .

Primo Fabbricere fu Pellegrino Carpanini e pri­mo cassiere Martino Petriccioli . Essi ressero le rispettive cariche oltre un quarto di secolo con gratuita prestazione d'opera e larghi contributi. Fra i benefattori si segnalarono oltre il marchese Botti, Simon Benedetti residente in Roma ; Giov. Picedo Picedi d'ArcoIa.

II Comune diede annui sussidi.

La chiesa fu dedicata all' Immacolata ed a San Francesco.

Il convento, costrutto a due piani, ebbe circa venti cellette.

Fra Antonio da Lerici fu il primo Padre Guar­diano del convento (1511).

II 17 sett. 1779 il convento fu invaso da sol­dati e  birri col pretesto di cercarvi beni nascosti.

Nell'anno 1798, per ordine del generale Miollys, i frati dovettero evacuare il convento, con obbligo di lasciare le stanze e i letti forniti nella guisa che servivano ai religiosi; e di lasciare tutto ciò ch'era spettante della foresteria. Ai frati si passò il necessario al vitto per quarant'otto giorni. Que­sto tempo fu loro dato per uscire dal convento e vestirsi da preti, con minaccia di carcere a chiun­que fosse apparso in pubblico vestito da frate.

Dopo i rovesci delle armate francesi, occupato il nostro golfo dagli Austro - Russi, il Comune riconsegnò ai frati il convento ordinando che fosse restituito tutto quanto di proprietà era pas­sato alla chiesa parrocchiale e a privati.

Il convento si trovò spoglio, rovinato; la chiesa non più ufficiabile.

Il dott. Domenico Carosini, - (Capo Anziano) e primari signori, padroni, marinai, artieri, accol­sero in trionfo i frati, che ebbero larghe offerte per riparare i danni, e molte opere gratuite.

Il 14 febbraio 1816 ripresero possesso del con­vento e la Domenica delle Palme 11 aprile, in solenne processione venne riportata alla Chiesa dei Cappuccini dalla parrocchiale la statua del­l'Immacolata.

La chiesa fu solennemente ufficiata il Martedì Santo. Le funzioni si chiusero con un Te Deum cantato con generale commozione.

I frati riebbero gli arredi sacri; molta roba di spettanza del convento e 405 dei 595 volumi della biblioteca.

Re Carlo Alberto diede un sussidio di lire duemila e altro sussidio diede il Comune. Con questi sussidi e molte oblazioni di privati, ven­nero rifatte porte, finestre, ed apportati restauri e miglioramenti alla chiesa.

Dal 4 agosto 1854 al successivo 4 settembre la chiesa fu mutata in lazzaretto di poveri col­piti dal colera che infieriva in Lerici; ed i frati furono caritatevoli infermieri propensi per lo spi­rituale.Ebbero essi due medaglie d'argento che appesero alla statua dell'Immacolata.

Sul finire del 1866 i Cappuccini, per nuova legge, lasciarono Lerici e il governo diede la chie­sa e il convento in affitto al comune.

Il sac. Francesco De Benedetti ufficiò per qual­che tempo la chiesa quale cappellano; ma poi: altari, statue, mobili, arredi sacri, tutto fu ven­duto per poca moneta ad asta pubblica.

Statua della Madonna ebbe la parrocchia di Tellaro; urna con la statuetta in cera di Santa Elisabetta passò alla parrocchiale de La Serra. Le panche acquistò la parrocchiale di Santo Ste­fano Magra, e l'altare maggiore ebbero i Cappuc­cini di Sarzana; l'altro acquistarono privati.

La bella chiesetta, nella quale avevano tomba le famiglie Ollandini, De Benedetti, Garibaldi, co­me ricordavano lapidi spezzate, ora è mutata in Teatro Goldoni.

 Noi vecchi ricordiamo i buoni amatissimi frati; in modo particolare ricordiamo: Padre Luigi Que­sta da Spezia, conforto nella sua tarda età nelle corsie dell'ospedale di Pammatone a Genova; e ricordiamo pure il questuante dentista, Fra Marco, anima popolare schietta, serena, gioviale.”

 

 

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Principessa MAFALDA
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Bastimento principessa Mafalda
Principessa MAFALDA. Varato nel 1908 a Riva Trigoso per il Loyd Italiano.
La nave partì da Genova l'11 ottobre 1927 al comando del capitano Simone Gulì con a bordo 1259 persone e, al momento del naufragio, si trovava a circa 80 miglia al largo della costa del Brasile, tra Salvador de Bahia e Rio de Janeiro. Erano le ore 17.15 quando in tutto il bastimento fu percepita una forte scossa. I passeggeri, preoccupati, uscirono sul ponte per cercare di capire cosa stesse succedendo, ma la nave procedeva in modo apparentemente regolare seppur rallentando visibilmente. Il primo pensiero degli uomini dell’equipaggio fu che la scossa potesse essere causata dalla perdita di un’elica, fatto certamente grave ma non necessariamente pericoloso. Ma il direttore di macchina Scarabicchi salì in plancia ed informò il capitano che aveva individuato il vero problema: si era sfilato l’asse dell’elica di sinistra, e ciò aveva causato uno squarcio nello scafo dal quale l’acqua entrava copiosamente allagando la sala macchine e certo avrebbe presto invaso anche i ponti poiché le porte stagne non funzionavano correttamente. Gulì fece suonare la sirena d’allarme mentre il primo ufficiale Maresco dava ordine ai marconisti Reschia e Boldracchi di lanciare un S.O.S..
Il segnale di soccorso fu raccolto da varie navi, tra le quali i piroscafi da carico Alhena (olandese) e l’Empire Star (inglese), che si trovavano nelle vicinanze e che accorsero immediatamente. Tuttavia questi si fermarono ad una certa distanza dal piroscafo italiano poiché da esso si innalzava una vistosa colonna di fumo bianco che faceva temere la possibilità di esplosione delle caldaie e quindi il rischio di un incendio. In realtà questo pericolo non sussisteva in quanto gli operatori della sala macchine avevano aperto le valvole del vapore prima che l’acqua raggiungesse le caldaie, ma l’unica dinamo presente a bordo si era bagnata e perciò non era più usufruibile. Reschia e Boldracchi, quindi, non poterono avere energia elettrica per trasmettere alle navi giunte in soccorso la comunicazione del fatto che la temuta esplosione delle caldaie non poteva verificarsi. Intanto sopraggiunse l’oscurità, che impedì qualsiasi comunicazione visiva. Ad ogni modo le navi soccorritrici misero poi in mare le lance riuscendo ad imbarcare molti naufraghi della nave italiana.
Resosi conto che la nave era ormai perduta, il capitano Gulì fece calare le lance di salvataggio, ma poiché ormai la nave era fortemente sbandata a sinistra, quelle di dritta cozzarono contro lo scafo danneggiandosi e divenendo inservibili. Nel frattempo a bordo si era creato il panico e molti passeggeri caddero (o si gettarono) in mare e annegarono. Sul lato di sinistra la situazione era migliore e Maresco fece il possibile per calare diverse scialuppe, che però rivelarono in pieno il loro cattivo stato: molte imbarcavano acqua dalle commessure e fu necessario per i passeggeri aggottare con i cappelli. Allora il capitano Gulì capì che non si poteva fare più nulla per salvare la nave e ordinò il "Si salvi chi può", mentre il caos a bordo aumentava sempre di più, anche a causa dell’oscurità assoluta (si era nel novilunio) e, mentre due passeggeri riuscirono a raggiungere a nuoto le altre navi, altri due si suicidarono sparandosi. Secondo alcune versioni anche il direttore di macchina Scarabicchi si sarebbe ucciso[2]. La stampa brasiliana riportò che alcuni naufraghi furono divorati dagli squali.
Comunque una parte delle scialuppe riuscì a raggiungere senza problemi le unità di soccorso e, insieme alle lance provenienti delle altre navi, a portare in salvo 945 persone. Intanto il Principessa Mafalda, verso le ore 22.20, essendo ormai completamente invaso dall’acqua a poppa, si alzò di prua e colò a picco in 1200 braccia d’acqua (circa 2200 metri). Numerosi i Lericini a Bordo (Un Ex Voto sera in San Rocco)
 

 

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Cristina Benefico

Cristina Benefico dirige il Coro al Christmas Bazaar

Cristina Benefico ha studiato canto lirico e direzione di coro presso la Civica Scuola di Musica "Villa Simonetta" di Milano, canto jazz presso i Civici Corsi di Jazz di Milano con Franco Cerri e Enrico Intra, canto moderno con il cantante Arturo Testa e gospel con il cantante americano Nehemiah Brown. 

Ha svolto attività concertistica e discografica con diverse formazioni, nell'ambito della musica leggera, jazz, antica, rinascimentale, barocca e contemporanea.

Ha preso parte, come interprete audio e video, alla realizzazione delle musiche per lo sceneggiato "I Promessi Sposi" (RAI 1-Regia Salvatore Nocita) e collaborato come solista e corista per jingles pubblicitari (sigla di palinsesto Italia 1, campagna lancio Fiat Punto, Vaporella...).

Ha effettuato concerti con diverse formazioni, dal duo alla big band, come cantante jazz e gospel in teatri, piazze e sale da concerto, collaborando con artisti di livello nazionale (Sante Palumbo, Michael Rosen, Antonio Zambrini, Stefano Bagnoli, Mauro Pagani..).

Dal 2003 è residente nella provincia di La Spezia dove svolge attività concertistica e didattica come cantante, direttrice di coro, insegnante di vocalità e esperto di musica presso gli istituti scolastici di Ameglia, Lerici e La Spezia. 

 

Il Coro al Christmas Bazaar

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